“Insegnare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco”.
Questa è una bellissima frase sull’educazione attribuita a William Yates, scrittore e poeta irlandese. Una frase che io condivido in pieno.
Spesso chi insegna è giustamente preoccupato di completare un programma, fornire informazioni, perseguire un scopo didattico e va benissimo (ne abbiamo parlato la scorsa settimana in questo articolo).
Si parla di Metodolatria: il metodo non si tocca, costi quel che costi. È il metodo a dettare i tempi, bisogna raggiungere la fine del programma. Senza guardare in faccia a nessuno. Peccato che quelle facce siano quelle dei nostri studenti. Che se non hanno capito o peggio, se non hanno assorbito i contenuti – e quindi presto li scorderanno – problema loro.
A cosa serve insegnare qualcosa di cui gli studenti non colgono il significato?
E che soprattutto che, passato il momento delle verifiche valutative, gli allievi dimenticano. È ormai chiaro a chiunque si occupi di didattica che senza la giusta pratica, la teoria va a farsi benedire.
Perché sacrificare la vera formazione, che richiede tempo di maturazione nello studente, solo per poter dire “ho completato il programma”? Non bisogna mettere la meta del “programma completato” davanti alla passione. Far si che i nostri allievi si appassionino alla disciplina che noi insegniamo sia la cosa più importante.
Si perché noi possiamo cercare di trasmettere e inculcare tutta la conoscenza possibile ma se il nostro studente o la nostra studentessa non hanno la passione, faranno molta più fatica. Non andranno molto lontano.
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La passione è amore. E nulla è potente come l’amore.
È l’emozione a rendere inarrestabile la nostra motivazione. Uno studente motivato è quanto di meglio un insegnante possa sperare di incontrare.
Come fare, dunque? Innanzitutto, prima della tecnica, evidenziare il “bello”. Prima della ragione, far esaltare il cuore, ovvero: incendiare di passione.
Un giorno, un mio conoscente, un poeta che aveva insegnato letteratura al liceo classico, mi disse: “perché passare ore a spiegare agli studenti la Divina Commedia, invece che far cogliere la meraviglia del suono, la genialità del ritmo. Facciamoli esaltare per una rima, anche se non ne colgono ancora il senso. Lo capiranno poi. Quando avranno apprezzato la bellezza, allora potremo spiegare significati e tecniche utilizzate”.
La bellezza ci fa innamorare e quando siamo innamorati, la fatica non conta più. L’innamorato scala montagne e attraversa mari, nel nome del suo amore. Uno studente innamorato della nostra materia avrà un’energia irrefrenabile da dedicare allo studio.
Se riusciamo ad accedere il fuoco dell’amore verso il contenuto del nostro insegnamento, che nel nostro caso è l’arte di fare musica (e quindi non dovrebbe essere così difficile), la persona si appassionerà e sarà molto più facile per lei apprendere. E per noi insegnare.
Sarà lei che sarà affamata di sapere, sarà mossa da un desiderio irrefrenabile di conoscenza e verrà a chiederci di imparare a tutti i costi.
Il nostro lavoro di insegnante sarà molto più soddisfacente.
Meno secchi riempiti di nozioni, quindi più allievi incendiati di passione e amore. Nel nostro caso, amore per lo studio della musica.
Pubblicato: 22/03/2023
Autore: Claudio Flaminio