Un grande producer? Si differenzia per un suono originale. Incontriamo Francesco Siliotto: producer, musicista e arrangiatore che si divide tra il mondo dell’hip hop, il lavoro come fonico e l’insegnamento della musica elettronica. E’ docente NAM nel corso di DJ Producer e Composer.
– Se ti chiedessi esattamente che lavoro fai, cosa risponderesti?
Faccio il produttore musicale e il fonico. Mi occupo di produzioni musicali artistiche, post produzione e sound design per prodotti multimediali, servizi di studio di registrazione come registrazione e mix. Oltre a questo da qualche anno collaboro con la NAM dove mi dedico all’insegnamento di materie come “Pratica di Studio”, “Pro Tools”, “Ableton Live” e “Produzione Musicale” per i corsi di Musica Elettronica.
– Come è iniziata la tua carriera? È iniziata per caso dopo 4 anni di chitarra classica in conservatorio. Ero ragazzino e immaturo e mi sono considerato poco adatto a proseguire i miei studi in quel tipo di ambiente. Così me ne sono andato e, qualche anno dopo, con un amico dj ho messo in piedi un piccolissimo studio di registrazione, più che altro perché eravamo appassionati di hip hop e volevamo un posto dove fare le nostre produzioni e registrare assieme ai nostri amici.
Essendo Udine una città abbastanza piccola non è stato così difficile farsi conoscere e far girare la voce sull’esistenza del nostro studio. Negli anni successivi abbiamo così attirato parecchi musicisti della scena regionale e non solo. I primi rudimenti su questo tipo di attività sono stati tutti da autodidatta, anche se in quegli anni ho avuto la fortuna di conoscere e apprendere molto da Stefano Amerio, uno dei più grandi fonici di riferimento per la musica jazz in Italia e all’estero. Stando nel suo studio, in un paesino in provincia di Udine, ho capito esattamente che tipo di professione fosse la sua e ho deciso di volerla intraprendere anch’io.
– A un certo punto ti sei trasferito a Milano. Cosa hai trovato qui? Milano è una città dove musicalmente succedono parecchie cose. Le etichette major rimaste in piedi in Italia sono concentrate qui, e per quanto riguarda la musica hip hop è stata sempre una delle città con più fermento. Inoltre ho scoperto il mondo delle case di produzione ed agenzie pubblicitarie, molto numerose a Milano, che realizzano in continuazione progetti per Tv, Radio e web.
– Chi sono gli artisti che più ti hanno influenzato e ispirato? Una marea, ancora oggi mi faccio influenzare dall’attitudine di artisti del passato ma anche nuovissimi. Di sicuro mi hanno influenzato molte figure di produttori storici in ambito hip hop… chi ha la passione per questo genere ha come supereroi Dr. Dre, Timbaland, Scott Storch, Swizz Beatz e molti altri, anche se poi si trovano in continuazione fonti di ispirazione e influenze da tutti i generi musicali. Potrei veramente fare nomi di musicisti molto diversi come genere ma che mi hanno influenzato nel modo di produrre e manipolare l’elettronica. Dai Radiohead ai Gorillaz, da Diplo ad Aphex Twin, ecc…
– Hai avuto un’educazione musicale studiando uno strumento, teoria e lettura della musica. Quanto questo ha aiutato la tua carriera? Più che la mia carriera ha aiutato proprio il mio approccio alla produzione. Conoscere almeno uno strumento e un po’ di teoria musicale non può che accrescere il potenziale delle proprie produzioni ed aiutare ad acquisire consapevolezza delle proprie scelte nel processo creativo.
– E invece la maggior parte dei ragazzi che si dedicano all’ EDM non hanno un’educazione musicale. Cosa consigli per non vivere questo come un handicap? Ci sono un sacco di bravissimi produttori di EDM che fanno fatica a leggere uno spartito o non sanno suonare ma riescono comunque a strutturare un brano che funzioni.
Per chi la vive come un Handicap i casi sono 2:
- Fai un corso, anche breve, e studia i fondamenti della teoria musicale in modo tale da avere una conoscenza di base che ti permetta di imbastire le idee che hai in testa con cognizione di causa.
- Impara a lavorare in team. Se ti senti limitato nel comporre un giro di accordi o hai in testa una melodia e hai prodotto una musica che non sai come evolvere da quel punto, la cosa migliore è coinvolgere qualcuno nel processo creativo, magari proprio un musicista. Molti produttori all’inizio sono poco disposti a condividere e a confrontarsi sui loro progetti, ma bisogna considerare il fatto che tutti i produttori di successo coinvolgono diverse figure che danno loro un contributo nella produzione.
– In Italia c’è ancora una netta distinzione tra i ragazzi che suonano gli strumenti tradizionali e quelli che si dedicano all’ elettronica. Hai la sensazione che questa barriera si stia lentamente abbattendo? Beh.. che la barriera si abbatta è un po’ difficile perché ogni mondo ha un approccio nettamente differente dall’altro. Da sempre chi produce con campionatori, synth e tastiere trova limitante il semplice suonare uno strumento, di contro chi suona uno strumento è difficile che accetti l’approccio più meccanico con cui si produce la musica elettronica.
In realtà sono giusti e sbagliati entrambi i punti di vista. La cosa migliore che può fare un produttore è cercare di conoscere quanto più possibile entrambi gli approcci, perché non può che tornargli comodo in mille modi differenti.
– Hai lavorato con artisti di ogni tipo, dai musicisti africani a compositori classici. Come sei riuscito a stabilire un linguaggio comune in queste situazioni? Penso di esserci riuscito rispettando il lavoro e la passione altrui. In ogni circostanza ho cercato di prestare attenzione agli aspetti del fare musica che più entusiasmano gli artisti con cui ho a che fare. Per fare musica insieme bisogna stabilire un contatto ed essere sulla stessa lunghezza d’onda… altrimenti non viene fuori nulla di interessante dalle collaborazioni. Ma direi che parte tutto dal rispetto reciproco e dal rispetto dei ruoli.
– Il mondo dell’ Hip hop vive oggi un momento di popolarità mai visto prima. Come si concilia questo con la natura underground che è tipica di questa cultura musicale? Se l’hip hop diventa mainstream resta credibile? Altroché se resta credibile. Il fatto che ormai da anni sia musica mainstream in diversi paesi del mondo da già la prova della sua credibilità. Io vengo da una generazione di artisti molto diversa da quella attuale e sono molte le differenze dell’hip hop più di nicchia e underground rispetto a quello di oggi. I confronti inevitabili sono sia a livello delle tematiche trattate nelle canzoni, sia a livello dei suoni che sono cambiati parecchio.
È vero che gli argomenti trattati nell’hip hop old school erano più legati a tematiche sociali ed era più considerata musica di rabbia di riscatto, mentre oggi la maggior parte tratta argomenti molto più frivoli e di intrattenimento. Tutto ciò fa però parte di un’evoluzione naturale di una musica che è partita da un bacino di utenza da festa di quartiere, fino a giungere alle orecchie di milioni di persone. Stessa cosa per i suoni, essendo una musica che nasce dall’ utilizzo dei sample, dei campionatori e delle tastiere si evolve e si reinventa costantemente a seconda delle strumentazioni impiegate per produrla.
Sarà anche partita dall’underground ma ormai ha invaso da anni le classifiche, i club, il web, ecc. In realtà è un argomento di cui gli ‘addetti ai lavori’ discutono e discuteranno sempre ed è giusto così… io personalmente apprezzo un sacco l’hip hop con cui sono cresciuto, ma apprezzo altrettanto quello attuale.
– Che cosa differenzia un grande producer dalla moltitudine di piccoli producer? Il creare un suono veramente proprio, cosa veramente complicata, visto la moltitudine di producer e la facilità con cui oggi si può produrre ad alti livelli.
– Tre strumenti da te utilizzati negli anni che ti sono rimasti nel cuore? Sicuramente il mio primo campionatore, l’Akai s1100, mi sono fatto un sacco le ossa con quello, ormai è in esposizione nel mio studio come in un museo assieme all’mpc, un altro campionatore drum machine che ho usato un sacco. Adesso uso dei controller midi che pilotano i software e si riescono a ottenere risultati straordinari in un decimo del tempo.
– Oggi può ancora avere senso spendere migliaia di euro in strumenti analogici come certi costosissimi synth? Secondo me può avere ancora senso, certamente. Quello che spiego sempre anche a lezione è che anche se esistono ormai una marea di virtual instrument con ottimi suoni e librerie incredibili, il fatto di introdurre nella produzione l’utilizzo di suoni provenienti da strumenti esterni rende il lavoro più creativo. Il solo fatto di fare i conti con i limiti fisici di una drum machine piuttosto che una tastiera synth fa sì che un produttore trovi un sistema sempre diverso per ottenere il suo scopo, e questo renderà i progetti più interessanti. Inoltre, utilizzare strumentazione esterna magari combinata a un set di suoni scelti e usati in tutte le produzioni aiuterà a rendere il suono più personale.
– Pro Tools, Logic, Ableton Live. Qual è il pregio di ognuno di questi software, che tu conosci bene? Pro Tools è un software che ho utilizzato per molti anni e che reputo ottimo per registrare e mixare. L’editing penso che non abbia rivali con nessun altro software. Non lo trovo molto completo e adatto alla produzione musicali con virtual instrument e tracce midi.
Ableton Live è un software che rappresenta per me l’opposto di Pro Tools. La facilità, velocità e versatilità in ogni ambito della produzione lo rende uno dei software più utilizzati in assoluto per produrre musica elettronica. Ha inoltre un sequencer unico nel suo genere che permette di eseguire performance live di altissimo livello che con altri software sarebbe difficile se non impossibile programmare. Per quanto riguarda invece la registrazione e il mix lo trovo un po’ carente ma non vuol dire che altri non si possano trovare bene!
Logic è il programma su cui mi trovo meglio in assoluto perché unisce i due utilizzi fondamentali di un software per un produttore e fonico: da una parte la programmazione con i virtual instrument e il midi, dall’ altra la registrazione l’editing e il missaggio.