Se la grandezza di un musicista si misura (e si misura) sulla capacità di innovazione e di influenza sulle generazioni successive, allora non ci sono dubbi. Eddie Van Halen è il più grande chitarrista rock dopo Hendrix. Nessuno come lui, dopo Jimi, ha reinventato la chitarra portandola a un livello superiore.
Alla sua entrata in scena con Eruption nel 1978 il mondo dei chitarristi è stato stravolto. Poi, quando si è ripreso dallo shock iniziale, ha iniziato a produrre esecutori che hanno sempre messo la spettacolarizzazione iper tecnica dello strumento al centro della scena.
Non esiste oggi un chitarrista rock che non debba qualcosa a Eddie. Le schiere di shredder che hanno definito lo standard della chitarra rock-metal degli ultimi 30-35 anni non esisterebbero senza di lui. Lo stesso Steve Vai, che aveva maturato un’esperienza di pregio con Zappa, quando si palesò al pubblico mondiale prendendo posto di fianco a David Lee Roth, imitava lo stile di Eddie. E quello stile in qualche modo gli è poi rimasto addosso.
Eddie è stato l’Hendrix degli anni 80, con tutto quello che questo può significare. Meno ribelle, più gioioso, meno intenso, più tecnico. Una poderosa disinvoltura stilistica e tecnica. Un uso totale delle mani e dello strumento. Un fantastico approccio “no limits” che ha cambiato le regole. E il suo inconfondibile brown sound, caldo, armonico ed energico.
A mio parere le cose più belle di Eddie non sono gli assoli ma i riff, i colori e gli accompagnamenti ricchi di idee contrappuntistiche. Eddie ha fatto sognare generazioni di chitarristi. Pensare che una band esordiente come i V.H. abbia trovato un successo folgorante grazie, soprattutto, all’estro di un suo strumentista è un caso unico nel rock. I fan compravano i dischi (milioni di dischi) soprattutto per lui.
Oggi è un giorno triste, abbiamo perso un musicista formidabile, di quelli che restano per sempre. È giusto che da oggi si inizi a celebrarlo per quello che è stato: il più grande chitarrista rock di sempre, dopo Hendrix.
Claudio Flaminio