Studiare storia della musica è importante quanto lo studio dello strumento
È impossibile negare il genio di Mozart o quello di Charlie Parker, ma pensare il primo che suona il clavicembalo al Birdland di New York in mezzo ai boppers o il secondo che suona la sua Now’s The Time per l’arcivescovo di Salisburgo Hieronymus von Colloredo risulta quantomeno strano. Questo paradosso ci fa capire cosa significa conoscere la storia, saper collocare uno stile, un approccio compositivo, una sonorità, una forma, un arrangiamento, nel tempo e secondo i giusti canoni estetici. Tutto ciò che ascoltiamo è frutto di un’evoluzione e del contesto in cui si sviluppa: suoni, melodie, groove, generi musicali sono inseriti nel presente che per definizione è conseguenza del passato. Conoscere il più possibile il contesto storico culturale e l’estetica in cui si è sviluppata una musica è quindi fondamentale per comprendere la musica stessa. Quando Bartolomeo Cristofori nei primi anni del 1700 ideò il primo pianoforte, in grado di intervenire sulla dinamica del suono a differenza del clavicembalo suo predecessore, probabilmente ignorava quanto questo apparentemente piccolo upgrade, diremmo noi oggi, avrebbe completamente rivoluzionato l’approccio stesso all’intero linguaggio musicale occidentale. Tutto è conseguenza di qualcos’altro. La tragedia del secondo conflitto mondiale con la storia della musica sembrerebbe avere poco a che fare. Invece, l’avvento degli americani sul suolo Europeo, è una delle principali cause della rivoluzione musicale degli anni ’50 e ’60 che, ad esempio in Italia, modificò la struttura e l’approccio classico del Bel Canto di derivazione operistica (Verdi, Rossini, Puccini, Donizzetti ) nella musica cosiddetta leggera contaminata di Swing , Jazz e Rock and roll , la musica che oggi chiamiamo moderna. Solo la conoscenza della storia può aiutare a capire il senso e l’estetica di ciò che ascoltiamo. È una raccolta di precedenti.